I Sumeri, gli Ittiti, gli Assiri e i Babilonesi sceglievano le loro estetiste tra le schiave più belle e per il loro lavoro utilizzavano anfore finemente lavorate contenenti le più svariate acque profumate e recipienti a scomparti come beauty-case per contenere oli, miscele e cosmetici vari. In quest’epoca iniziarono a comparire diversi tipi di gioielli contenenti belletti e profumi, a funzione ornamentale e cosmetica.
Gli antichi Egizi, maestri inconfutabili nel campo della cosmetica, attraverso i geroglifici ci hanno tramandato numerose ricette e formulazioni che sono sopravvissute fino ai nostri giorni. Gli Egizi utilizzavano
creme, unguenti e profumi per ammorbidire e profumare la pelle, inoltre le donne si schiarivano la carnagione utilizzando un composto cremoso ricavato dalla biacca, disponibile in diversi colori, dalla tonalità pallida
a quella più ambrata solitamente destinata alle labbra. Il contorno occhi veniva marcato pesantemente con il kohl nero o verde (estratti rispettiva mente dalla golena e dalla malachite) per ricordare gli occhi del dio Horus.
Le unghie, le palme delle mani, dei piedi e i capelli venivano tinti con una pasta a base di henné. All’epoca egizia risale il primo profumo composito di cui si abbia traccia: il kyphi, considerato sacro agli dei. Il papiro di Ebers parla di un paziente che era stato colpito dall’incanutimento e propone alcune terapie curiose, di carattere magico-simbolico, con evidente richiamo alla fertilità e alla potenza fisica, che prevedono l’utilizzo del sangue di toro, placenta di gatta, genitali di capra, considerati simboli di forza o di rinnovamento.
Il papiro di Smith abbonda di ricette di unguenti per migliorare la pelle, per distendere le rughe del viso e per eliminare le macchie cutanee.
Tuttavia l’ossessione degli Egizi per la cosmesi non si limitava al mondo dei vivi, in quanto la pratica dell’imbalsamazione dei defunti prevedeva l’uso di diverse sostanze odorose che i sacerdoti utilizzavano sapientemente sotto forma di oli e unguenti.